E' opinione diffusa, nell'ambiente dei creativi pubblicitari, che la qualità della comunicazione in Italia si sia abbassata costantemente negli ultimi dieci, quindici anni, fatta eccezione per alcune punte di eccellenza che però paiono non influire sulla qualità media. Un'indagine sulla valutazione e il riconoscimento della creatività nella comunicazione commerciale italiana, svolta tra i manager delle aziende che investono in pubblicità, ha messo in luce il modo in cui essi vedono e giudicano i loro creativi.
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La pubblicità italiana è quasi sempre 'inautentica' e astratta, non fa leva su insights verosimili e rilevanti. E' eccessivamente stereotipata. Non emoziona nessuno. E poiché rinuncia in maniera programmatica a elaborare le emozioni autentiche delle persone, privilegiando invece la supremazia del prodotto, la patina, la farsa e il grottesco, si colloca fuori del tempo, in un mondo astratto e assolutamente sganciato dalla contemporaneità.
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In particolare i manager lamentano la scarsa propensione dei creativi a osare nuove strade di comunicazione, il provincialismo e l'autoreferenzialità della nostra comunicazione pubblicitaria, che non emoziona i consumatori, ma li costringe a una visione edulcorata e stereotipata della realtà.
I creativi, in buona sostanza, sono percepiti come simpaticoni non molto affidabili, non sufficientemente interessati alle questioni aziendali o di marketing, non del tutto all'altezza del loro ruolo specifico.
Ma, in sostanza, cosa vogliono i manager dai creativi? Innanzitutto, innovazione. Inoltre, si richiede una maggiore conoscenza delle problematiche del marketing, di imparare a dialogare meglio con le aziende e di essere un po' più stabili.
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