Adattamento italiano di: Inside Google’s Android and Apple’s iPhone OS as business models
Google con il suo Android offre un'alternativa software gratuita ai costruttori di smartphone sperando di recuperare il terreno perso nei confronti di iPhone. Questo articolo cercherà di esaminare come Android si differenzi nei confronti dell'iPhone come “piattaforma software per smartphone”, con particolare attenzione al modello di business di ciascuno dei due e di come questo influisca sui suoi utenti.
Android contro iPhone: sicurezza contro restrizioni
Il tentare di vendere una “piattaforma software”, come tentano in questo caso Apple e Google, è una difficile alchimia, si devono bilanciare diversi fattori per creare un ambiente gradito agli utenti della stessa. Da un lato, gli utenti vogliono un telefono che funziona in modo affidabile e che faccia tutto quello che si potrebbe desiderare senza restrizioni o limitazioni artificiali messe in opera da parte del rivenditore.
Allo stesso tempo, gli utenti vogliono anche una piattaforma che offra nuove funzioni non appena disponibili e vogliono essere protetti da minacce alla sicurezza quali i virus che causano il furto o la perdita dei dati oppure fastidiosi adware, spyware e spam.
Il problema è che l'aggiunta di molte delle nuove caratteristiche tende a trasformare in bloatware il software utilizzato, causando il rallentamento nelle prestazioni e persino l'introduzione involontaria di bug, ma anche delle severe misure di sicurezza che si traducono in un certo disagio per gli utenti. Il bilanciamento di questi fattori è una vera e propria arte ingegneristica. Quanto meglio Apple e Google riescono a fare in questo campo è strettamente però legato al loro diverso modello di business per le “piattaforme mobile”.
Il business model di iPhone
La “piattaforma iPhone” di Apple ha un modello di business molto semplice: tutto viene eseguito sotto la direzione di un'unica società tenuta a fornire ciò che si spera essere l'offerta migliore possibile, al fine di vendere il maggior numero di iPhone possibili.
La “piattaforma software” di iPhone è perfettamente integrata, parte della progettazione hardware di Apple arriva su iTunes per la configurazione, gli aggiornamenti software, il backup, la sincronizzazione dei media, la gestione delle applicazioni, e MobileMe come servizio opzionale di sincronizzazione cloud.
L'iPhone, poi, è legato in esclusiva a uno o più gestori di telefonia mobile che però devono accettare alcune concessioni “user-friendly” (come il supporto ad iTunes piuttosto che spingere i loro costosissimi servizi di vendita di suonerie e musica). Tuttavia, gli accordi tra Apple e i gestori possono anche limitare le libertà degli utenti in molti mercati come gli Stati Uniti, dove l'iPhone può essere utilizzato solo su rete AT&T's.
Apple mantiene anche un rigido controllo su come iPhone viene venduto, e gestisce quasi tutti i problemi di assistenza allo stesso. Nel bene o nel male non c'è assolutamente nessuno scaricabarile sulla pelle degli utenti riguardo alla risoluzione dei problemi hardware, problemi di software o su falle di sicurezza o prestazioni. Se c'è un problema con l'iPhone, è sicuramente colpa di Apple.
Il rovescio della medaglia è che non si può ottenere il sistema operativo di iPhone da una qualsiasi altra fonte, non si è autorizzati a modificare il software, non sarà possibile installare applicazioni che Apple decide essere di scarsa qualità, incompatibili con i suoi obiettivi (compresi i servizi in background di applicazioni di terze parti), o dannose per la sua piattaforma (ad esempio Flash di Adobe).
Unica alternativa è addossarsi la responsabilità di sbloccare con un hack l’iPhone attraverso la famigerata procedura di jailbreak, cosa che Apple scoraggia e tenta di prevenire. In alcuni casi, comunque, non c'è alcun modo di attivare funzionalità che Apple non voglia permettere.
Il business model di Android
Il modello di business di Google è più complesso per alcuni aspetti e più semplice per altri. La società non fa soldi vendendo l’hardware del telefono o la licenza del software “Android” (che è gratuito e open source). Google fa soldi vendendo pubblicità e tracciando le abitudini e le preferenze degli utenti tramite le proprie applicazioni brandizzate Google che rilascia in bundle (che però non sono ne libere né tantomeno open source) con Android.
Questo comporta che Android può essere strettamente integrato con l'hardware solo nella misura in cui i costruttori stessi decidano di concedere (o siano in grado di realizzare). I costruttori hardware possono aggiungere funzionalità che Google non supporta completamente (come il supporto al multitouch o GUI personalizzate), mentre Android è in grado di offrire alcune funzionalità che non sono implementate in alcune periferiche hardware (come la bussola).
A differenza di iPhone e del suo iTunes, i telefoni Android non sono integrati con un'applicazione desktop a fare da hub per ogni tipo di contenuto multimediale, così gli utenti Android – tutti con diversi gestori di telefonia mobile e con diversi terminali di altrettanto diversi produttori hardware – avranno tra loro differenti procedure per la configurazioni, per l'installazione, gli aggiornamenti, il backup, il Media Sync, il software di gestione e sincronizzazione di servizi “cloud” che possono essere implementati in mille modi tutti diversi ma tutti basati su prodotti con Android.
Quanto uno specifico telefono Android sia legato esclusivamente a un determinato fornitore però è negoziabile. Alcuni modelli possono essere sbloccati e utilizzati praticamente ovunque, mentre altri sono bloccati proprio proprio come iPhone con un determinato gestore telefonico come ad esempio Verizon. Google però non riesce a guadagnare dalle concessioni ai fornitori di telefonia mobile nel modo in cui fa Apple, in quanto non è il fornitore dell’hardware.
Si suppone che Android dovrebbe arrivare sul mercato con una miriade di nuovi dispositivi tutti di diversi produttori all'inizio del prossimo anno (il 2010 n.d.r). Quasi tutti i produttori promettono di offrire un'esperienza personalizzata per differenziare la loro offerta, rendendo la piattaforma Android quanto più distante dalla “esperienza globale” di iPhone (o quantomeno simile a Windows su PC).
HTC spinge su un suo “look and feel” unico come il “Sense”, Motorola spinge la propria interfaccia utente, “MotoBlur”, e Sony Ericsson ha battezzato la sua interfaccia per il prossimo Xperia X10 “Rachael” o UX. Ma anche altri fornitori si stanno attrezzando per creare una loro interfaccia utente unica e distintiva.
Immaginate se HP e Dell realizzassero delle interfacce per l'utente (GUI - Graphical User Interface) completamente diverse tra loro sui normali PC Windows. In questo caso gli utenti sarebbero capaci di riconoscere Windows sotto quelle GUI?
Sarebbe la stessa cosa che accade oggi con le varie distribuzioni di Linux su PC, dove c'è talmente tanta scelta che disorienta l’utente tanto da indurlo a fargli evitare qualunque decisione e desistere nella scelta, provocando frustrazione tra gli sviluppatori della comunità e scoraggiando ulteriori sviluppatori di software, formazione degli utenti o risorse per il supporto.
Troppa scelta confonde, disorienta, il consumatore medio al punto da fargli evitare qualunque decisione.
Quanti di voi, entrando in un grande centro commerciale, non si sono trovati disorientati di fronte all’improba impresa di scegliere un televisore LCD o una nuova videocamera, tra decine e decine di modelli tutti apparentemente molto simili tra loro e per giunga appartenenti tutti allo stesso produttore!? - n.d.r.
Microsoft ha lavorato molto duramente per forzare i produttori di PC nel fornire una esperienza uniforme su tutti i computer, in modo tale che i consumatori sappiano riconoscere, e chiedere, “Windows”. In questo modo i produttori possono offrire un prodotto familiare e con caratteristiche note agli utenti.
Molti utenti Android nemmeno si renderanno conto di usare un telefono “Android” e nemmeno potrebbero notare particolari similitudini con un differente telefono Android di un diverso produttore o gestore di telefonia mobile.
Questo, perché non ci sarà uno standard nel gestire il brand, nessuna caratteristica minima comune, nessuna interfaccia utente coerente né norme su come usare i telefoni, come ad esempio gesture multi-touch o solo pulsanti fisici.
Il marchio che non c’è
A differenza di iPhone, Google non pone significative limitazioni riguardanti quali applicazioni saranno disponibili nel suo “Android App Store”, ma non c'è nemmeno nessun requisito per la firma del software o altre restrizioni di sicurezza poste in essere per impedire agli utenti di essere spiati, o attaccati, da applicazioni maligne o vessati da adware. Né tantomeno linee guida da rispettare per realizzare applicazioni di qualità.
E mentre i clienti potrebbero anche non biasimare Google per la “gestione rilassata” del brand, questo avrà un impatto su come il mercato percepisce comunque i prodotti Android in genere e, a sua volta, quanto ampiamente verrano adottati e considerati competitivi rispetto alla concorrenza e questo influenzerà anche la quantità di software disponibile per la piattaforma.
Per fare un paragone, mentre Apple ha un marchio di qualità chiamato “iPhone” forte in tutto il mondo, Google permette a qualsiasi dispositivo di chiamarsi “Android”. Se un produttore farà un telefono Android orribile, quest'ultimo ha la capacità di contaminare in negativo la percezione di tutta la piattaforma Android. Questa è un'altra ragione per la quale Microsoft ha lavorato così duramente per creare uno standard minimo e coerente per i PC desktop Windows.
Google non ha alcuna esperienza nella gestione di una piattaforma, e non sembra nemmeno abbia esaminato bene i fattori che hanno contribuito a portare al successo Microsoft sui PC. Ma Google sembra anche non avere alcuna cultura della marca e del brand, un problema curioso per una società il cui nome che è diventato “il verbo” per la ricerca sul Web – “To Google” – e con una serie di prodotti ampiamente conosciuti tra cui “Gmail”.
Google sembra non voler pubblicizzare direttamente il marchio Android nei confronti dei consumatori. Invece, permette ai suoi partner di declinare il marchio in vari modi. Per esempio, Verizon oggi usa degli specifici modelli di Android chiamati “Droid”; in questi dispositivi l’hardware è lo stesso per diversi gestori telefonici ("Droid" è fatto da Motorola, mentre "Droid Eris" è un prodotto di HTC con una interfaccia utente completamente diversa con una vecchia versione di Android e su un hardware più lento), gli stessi modelli sono addirittura chiamati in maniera diversa in diversi mercati (Motorola “Droid” sarà venduto come “Milestone” in Europa, e il “Droid Eris” sarà “Hero” per HTC).
Questo soffoca completamente qualsiasi possibilità per Motorola o HTC di commercializzare i loro nuovi telefoni Android a livello mondiale in barba a tutti i vantaggi della “riconoscibilità di marca” (che può procurare un vantaggio nei confronti dei competitor ed è certamente un asset strategico fondamentele) che qualunque studente al primo anno di studio di marketing aziendale già ben conosce.
Si mina anche la percezione degli utenti Android ad associarlo a Verizon, nonostante il fatto che tutte le società USA di telefonia mobile probabilmente venderanno telefoni Android dal prossimo anno.
Uno degli episodi più curiosi e recenti riguardo al corto circuito del brand Android è sicuramente quello della DoCoMo, che con una serie di campagne d'affissione e spot TV [guarda la spot], pubblicizza il suo nuovo telefono Android facendo riferimento a "Lord Dart Fener" nell'originale inglese (Darth Vader) il supercattivo della trilogia originale di Guerre Stellari (Star Wars).
Da notare il fatto che, nelle affissioni e ne nello spot, NON si faccia alcun rifermento al marchio Android se non indirettamente dato il collegamento con l'inquietante presenza alle spalle dei felici possessori del telefono.
Vi sfugge qual'è il collegamento nello spot? Dart Vader nel film era alla ricerca dei droidi (R2D2 e C3PO) – da qui l'idea di Droid = Android. Chiaro no?Viene anche da chiedersi se qualche dirigente della DoCoMo abbia mai effettivamente guardato il film tanto da capire che forse "il cattivo" non è un buon testimonial, forse qualche accanito fan della trilogia troverà la cosa divertente assieme a qualche suo amico "geek", ma sicuramente un pubblico generalista, non apprezzerà, soprattutto non capirà.
Immagine se Apple permettesse ad alcuni gestori di vendere in esclusiva l'iPhone con il nome di "iPo" quanta confusione sul marchio ne risulterebbe. Oppure immaginate che Apple tenti di vendere l'iPhone con nomi completamente diversi in diversi mercati a livello mondiale: (iPhone, iApple, iTele). La ragion d’essere di un brand è quella di creare la consapevolezza di un prodotto e stabilire un nome commerciale che i clienti riconoscano e associno a una solida reputazione.
Google sta permettendo ai suoi partner di lottare tra loro per il marchio Android, inventare sotto-marche in grado di generare confusione e addirittura diverse esperienze d’uso associate al suo marchio.
Il risultato sarà una serie di brevi lampi di vita vissuta che non lasciano alcun segno nella mente dei consumatori, come fu per LG con il suo “Prada”, Vu, Viewity, Venus, Voyager, enV Touch, Cookie, Dare, Secret, Arena, Xenon, Cyon, Shine, Incite, e Renoir (tutti modelli identici o molto simili tra loro di touchscreen venduti in diversi mercati o da fornitori diversi). Nessuno di essi ha dimostrato di poter generare alcun tipo di “reputazione competitiva” contro l'iPhone.
Se c'è un problema con un telefono Android, gli utenti potrebbero puntare il dito contro il loro gestore di telefonia mobile, o al fornitore dell'hardware, o alla comunità Android open source, nessuno dei quali però può assumersi pienamente la responsabilità, anche se lo volesse, e nessuno di loro ha nemmeno un qualche motivo valido per farlo.
Tutto questo si traduce nel fatto che “Android” è una piattaforma fantastica per hobbisti, geek e hacker, ma che presenta una serie di scenari terribili per gli utenti comuni, che vogliono che le cose funzionino semplicemente in modo coerente e intuitivo, con una sicurezza adeguata e tuttavia ancora in grado di offrire un valido potenziale commerciale, senza compromettere comodità e usabilità.
L'integrazione del software nei dispositivi consumer
Molti dei problemi che incidono negativamente su Android sono collegati al modello di business di Google, che sembra essere molto simile a quello di Microsoft per “Windows Mobile” e “PlaysForSure”. A differenza del grande successo di Windows sui PC, gli sforzi di Microsoft nei dispositivi mobili sono sempre stati dei fallimenti colossali, soprattutto perché i problemi di integrazione hardware/software per gli utenti PC non sono così critici come quelli che colpiscono i dispositivi portatili (mp3, palmari, cellulari), che comportano un uso più diretto e personale e che comprendono problemi come la gestione dell'alimentazione, problemi di prestazioni e un'interfaccia utente che richiede un lavoro di integrazione molto maggiore rispetto ai PC tradizionali.
Il modello “a licenza” di Microsoft del software funziona meglio tra PC o meglio server, dove gli utenti sono supportati da personale IT professionista, non a caso gli stessi luoghi dove anche Linux è molto popolare. Nei PC, il controllo di Microsoft sull’esperienza utente, ha solo aiutato a impedire un qualsiasi sconfinamento di Linux tra gli utenti comuni, ma non ha impedito ad Apple di mangiare quota di mercato a due cifre con il suo “PC” più integrato e user-friendly, il Mac.
Tuttavia, nei dispositivi mobili, il rigoroso controllo di Apple per l'esperienza utente le ha permesso di eccellere con iPod e iPhone, due mercati che né Microsoft né altre piattaforme software con licenza open sono riusciti a decifrare.
La migliore storia di successo nel settore delle licenze in campo mobile è stata Symbian, ma era in gran parte una collaborazione tra i produttori di telefoni più importanti che hanno semplicemente condiviso il lavoro sullo sviluppo del kernel. Nokia, Sony Ericsson e NTT DoCoMo hanno mantenuto la propria versione di Symbian strettamente integrata con l'hardware del telefono di ogni società.
Di fronte alla concorrenza sempre più integrata di telefoni come quelli di RIM e Apple, la quota di Symbian è caduta rapidamente e drammaticamente, e da allora Nokia ha lavorato per trasformare Symbian in una fondazione open source, donando codice condiviso.
Ma non c'è ancora nessuna prova che questo fermerà Symbian dall’uscire dal mercato degli smartphone nel prossimo futuro.
Il fallimento di “Windows Mobile” e – quello una volta ampiamente diffuso – di “Palm OS” può fornire qualche indizio rispetto a quanto bene questo modello di business possa funzionare sui dispositivi mobili.
Oltre ai propri modelli di business differenti, Android e iPhone differiscono anche come piattaforme software. Quali software di base sono stati installati e quali software di terze parti viene fornito in bundle con il telefono cellulare. E soprattuto quale software di terze parti è disponibile dopo la vendita.
Un prossimo articolo analizzerà proprio come Android e l'iPhone concorrono su questi aspetti.