Adattamento italiano di: Why the Mac App Store is such a priority for Apple
Apple non soltanto ha annunciato la prossima uscita di una versione per Mac del suo famoso App Store, ma si è posta anche degli obiettivi molto aggressivi per lanciare la vendita delle applicazioni entro i prossimi tre mesi.
Ma perché lo store è così importante per Apple e quando debbuterà il nuovo Mac App Store?
Iniziamo subito con il rispondere al "quando?", indicativamente l'uscita del Mac App Store sarà a fine gennaio. Io per primo ho iniziato a caldeggiare l’ipotesi dell’apertura di un Mac store per il software nel 2006, quasi due anni prima che Apple inaugurasse il suo iPhone App Store e mesi prima che iniziasse a vendere giochi per iPod.
“Una facile previsione...”; iTunes Store già vendeva con successo milioni di canzoni ed Apple gestiva anche un importante negozio on line che vendeva di tutto: periferiche, software, cavi, cartucce... Perché quindi non incorporare un negozio nel Finder?
La mia previsione si basava sull’idea che Apple potesse incorporare il suo negozio di e-commerce all’interno del Finder, proprio come fa iTunes Store, che si integra nelle librerie musicali dei suoi utenti. Ciò avrebbe consentito ad Apple di aiutare gli utenti nel comprare il giusto tipo di RAM o il toner di cui avevano bisogno, basandosi sulle informazioni trasmesse direttamente dal sistema dell’utente stesso.
Ciò che non avevo previsto però era quello che Apple avrebbe fatto solo un mese più tardi: “i giochi per iPod”.
Tuttavia – essendo la mia fantasia già in viaggio per mondi lontani – mi sembrava scontato capire dove Apple volesse andare a parare iniziando con i giochi per iPod e tutto mi fu ancora più chiaro pochi mesi dopo, quando arrivò il primo rivoluzionario “iPhone”.
Con i giochi per iPod, Apple stava chiaramente sperimentando come presentare, vendere e distribuire, con l’attenzione che la contraddistingue, software. Io ero certo — o per lo meno ottimisticamente speranzoso — che Apple stesse agendo per rivoluzionare il modo in cui i software venivano venduti. Per quale motivo?
Cammina prima di correre
In un’industria dove gli analisti spesso scordano che i palazzi hanno bisogno prima di buone fondamenta salde e che un piano strategico ben progettato è più importante dell’entusiasmo di iniziare una nuova avventura, i giochi per iPod di Apple furono aspramente criticati.
Perché i piccoli sviluppatori per Mac non erano stati coinvolti? Perché non era stato chiesto alla comunità open source come avrebbe progettato lei una piattaforma ludica? Perché Apple non aveva permesso ai propri clienti di condividere i download dei giochi come fossero dei libri in prestito?
Perché Apple non aveva semplicemente rigirato l’intero problema direttamente a Richard Stallman permettendo che il collettivo GNU tirasse fuori velocemente una intera libreria di giochi gratuiti? Cosa che d’altronde sino ad allora aveva funzionato “benissimo” per Linux e Pandora...
A mio modesto avviso, lo sforzo di Apple nello sviluppo dei giochi iPod era chiaramente un esperimento. Una volta svelato l’iPhone infatti, sembrò ovvio che i giochi fossero semplicemente una prova, un modo per testare un meccanismo di distribuzione software progettato per convertire il software stesso in un mezzo per aggiungere valore all’hardware, anziché un modo per creare nuovo valore fine a se stesso.
E così accadde che, mentre tutti ritenevano che i giochi per iPod fossero spazzatura informatica, io avevo la sensazione che invece fossero il chiaro segnale che qualcosa di grosso bollisse in pentola.
Apple reinventa il software per sopravvivere
Come azienda, Apple non sembra troppo preoccupata delle critiche che gli ideologi del software libero le muovono contro. È però molto attenta alle minacce rappresentate dalle software house che sembrano grandi sostenitrici della sua piattaforme. E per una ottima ragione...
Alla fine degli anni Settanta, l’hardware Apple si innamorò per la prima volta. E come accade per la maggior parte degli adolescenti, si innamorò della prima persona che si dimostrò interessata. Si trattava di VisiCalc il primo foglio elettronico antesignano di Excel.
L’idillio fece sì che il neonato “Apple IIs” diventasse un grande successo commerciale, trasformando Apple nella società più importante nella produzione di hardware dell’allora emergente panorama informatico.
La luna di miele tra Apple e VisiCalc non durò però a lungo, poiché VisiCalc spostò il suo software su altre piattaforme come quella di IBM, Lotus inoltre sviluppò “1-2-3”, che lo soppiantò definitivamente dalla scena informatica.
Apple aveva imparato, possiamo dirlo con il senno di poi, che il software è uno spietato rubacuori, che gioca con i sentimenti delle inesperte e fragili piattaforme hardware.
All’inizio degli anni Ottanta, Apple cercò la collaborazione di Microsoft per lo sviluppo di Macintosh. Steve Jobs infatti si rese conto di quanto fosse importante disporre di software di buona qualità mentre si tentava di imporre una nuova e rivoluzionaria piattaforma hardware. Decise così di organizzare un “matrimonio” tra il Mac e Word ed Excel di Microsoft, le brutte copie – che non avevano alcuna presa nel mondo PC DOS – di Lotus “1-2-3” e Wordperfect che invece erano dei “latin lover” con cui ognuno sarebbero volentieri uscito per un appuntamento galante.
Il lancio di Macintosh però aiutò molto più Microsoft che Apple: fece in modo infatti che l’insignificante produttore del MS-DOS divenisse un credibile fornitore di software grazie al prestigio delle sue applicazioni per Mac.
Il Macintosh non decollò fino a quando Jobs non scelse un nuovo compagno: Adobe PostScript e Altsys PageMaker. Sposata al Macintosh e alla LaserWriter, questa famiglia di software di desktop publishing fece guadagnare ad Apple abbastanza da potersi concedere un "break", abbasando pericolosamente la guardia nei confronti dei suoi rivali commerciali.
Microsoft infatti sgattaiolava via con un bel malloppo: un ambiente desktop facile da usare copiato da quello Apple da usare al posto dei tipici ambienti MS-DOS.
Microsoft portò in dote la sua copia delle tecnologie Apple alle sue applicazioni di Office realizzando i primi computer basati su Windows, che monopolizzeranno il mercato PC per i successivi vent’anni mentre Apple iniziò ad arrovellarsi per convincere i consumatori a comprare il suo hardware specifico “non-Windows”.
La strategia software di Apple
Nonostante Apple recentemente abbia superato come valore di capitalizzazione Microsoft, rimane comunque relativamente piccola come azienda, abbastanza almeno da poter tenere nascosti da allora i propri piani aziendali e continuare a essere competitiva.
Come produttore hardware, Apple non vuole soffrire le pene di un matrimonio con un partner software volubile: ciò significherebbe infatti vivere per pochi anni una relazione turbolenta, giungere necessariamente a un divorzio costoso e mantenere economicamente il proprio partner, che nel frattempo va in giro a guadagnare nuove e più ingenti fortune appresso a produttori hardware più giovani ed attraenti.
Questa situazione si è sempre ripresentata perché storicamente Apple si è buttata a capofitto in relazioni con chiunque manifestasse interesse nei suoi confronti, per paura, forse, che non avere alcun legame fosse peggio che averne uno anche se pessimo...
Da poco però, Apple ha intrapreso alcune iniziative per prevenire i costosi struggimenti provocati dall’abbandono dei suoi amanti-software.
Non spezzare il mio cuore di metallo...
Specialmente dal 2000 in poi, Apple ha capito che, in molti casi, è meglio gratificare “il proprio” dipartimento software che accompagnarsi a un altro venditore da cui si dipende per la propria soddisfazione ...“software”.
Final Cut, Logic, iLife e iWork furono infatti tutti software acquisiti da Apple o nuove creature da lei concepite, non matrimoni di convenienza con un compagno che sarebbe potuto scappare...
L’iPhone App Store convinse Apple a trasformarsi da un semplice partner hardware a diventare una piattaforma di vendita per software. Apple dunque non si è associata agli sviluppatori per creare software che funzioni sull’iPhone, bensì li mantiene per venderli ai suoi clienti, controllando l’intera esperienza per l’utente.
Apple non è più il lato hardware di un matrimonio, è ora la “Signora” per le sue “professioniste” (del software) che sono libere di andarsene se vogliono, ma non possono infrangere le regole della “Casa” finché sono dentro.
Quando uno sviluppatore iPhone inizia a creare problemi, Apple semplicemente lo depenna, annullando il valore del suo lavoro.
Anche Google, come altri negli ultimi anni, ha realizzato un suo clone dell’App Store per Android, concedendo però ai programmatori la quasi totale libertà nello sviluppare per il suo OS.
Il problema per Google è che non ci sono soldi nel mercato “open” di Android, e l’offerta software nello store ne risente, pieno di applicazioni alquanto indesiderabili a volte addirittura porto di approdo per virus e altre fastidiose malattie.
Il risultato è stato che il software disponibile in App Store ha aggiunto, agli occhi dei consumatori, valore all’iPhone e all’iPad, ha contribuito a far vendere un sacco di hardware e ha portato più di un miliardo di fatturato agli sviluppatori.
Al contrario, gli utenti Android acquistano l'hardware principalmente per utilizzare i network Verizon o Sprint, e il suo software fa ben poco, sia per gli sviluppatori che per gli utenti, mentre Google guadagna qualche briciola dalla pubblicità.
Riportare il primato al Mac
La sfida di Apple adesso è quella di convertire la sua relazione in un matrimonio d'interessi all’interno di un ambiente che essa possa mantenere e controllare.
Gli osservatori si chiedono come Apple possa richiedere una “tangente del 30%” sui ricavi software attraverso il suo Mac App Store, come possa imporre nuove regole e come soprattutto possa lanciare l’App Store permettendo in contemporanea forme tradizionali di distribuzione dei software per Mac.
Secondo la mia personale opinione, nessuno di questi è un vero problema.
Per prima cosa, quei critici di Apple a cui piace polemizzare su quel 30% di commissione in App Store appaiono dimentichi e ignoranti riguardo ai reali costi del fare “business”. Fuori dell’App Store, gli sviluppatori lasciano almeno il 50% dei loro ricavi ai rivenditori. Certamente possono anche occuparsi della vendita dei propri prodotti direttamente, ma questo costa (e molto) e le strategie di marketing impongono inoltre che ci si faccia pubblicità, affinché i clienti sappiano che si esiste!
Tutti coloro che dubitano del fatto che Apple sarà in grado di trovare sviluppatori interessati a delegare i costi di marketing, di commercializzazione, di vendita, di distribuzione e di aggiornamento software ad Apple al costo del 30% dei propri ricavi, deve solo dare un’occhiata a cosa succede dentro l’App Store di iPhone.
Attualmente, gli sviluppatori Mac non riescono a vendere il proprio lavoro meglio, o più efficacemente, di quanto non facciano gli sviluppatori Android, Symbian o Windows Mobile.
Questi ultimi investono di più per vendere il proprio software e devono inoltre sviluppare da soli protezioni contro i furti informatici, poiché in genere i consumatori preferiscono non pagare i programmi che usano perdendo tempo nel tentativo di sbloccarli a meno che non sia estremamente più pratico e veloce tirare fuori un paio di dollari per usufruirne in libertà.
Il controverso controllo qualità su App Store
In secondo luogo, mentre le regole di Apple erano — e continuano a essere — motivo di aspri dibattiti, è poco credibile sostenere che non sia stato anche grazie ad esse che l’App Store ha ottenuto tanto successo.
Se iPhone avesse iniziato come ha fatto Android — con qualche decina di migliaia di sfondi o suonerie mascherate da “Apps”, titoli squallidi e un sacco di applicazioni pubblicità-spazzatura — i clienti sicuramente si sarebbero stancati velocemente e non sarebbero ritornati in iTunes Store per cercare e acquistare sempre nuove applicazioni. Questo chiaramente non è avvenuto.
Due anni dopo la pubblicazione on line dell’iPhone App Store, Apple ha lanciato l’iPad App Store ottenendo un nuovo clamoroso successo, suggellato dall’approvazione sia degli sviluppatori che dei clienti.
I critici, che da lungo tempo aspettavano una imminente ribellione tra gli sviluppatori, hanno perso oramai tutta la loro credibilità.
Il sistema di Apple semplicemente funziona!
Gli standard di qualità imposti da Apple sono poi una novità solo per mondo del software; nel commercio tradizionale (potremmo dire la old economy) non esistono infatti altri grandi rivenditori affermati che vendono tonnellate di spazzatura o altre schifezze solo per i capricci stravaganti dei loro fornitori.
Anche Wal-Mart – famosa e criticata per offrire merce fabbricata in paesi con costi minori e qualità inferiore come Cina, Filippine, etc – effettua un rigido controllo su ciò che viene venduto all’interno dei suoi punti vendita, a un livello tale che in confronto Apple è a dir poco “permissiva”.
Perché le App Store per Mac saranno differenti
Terza cosa, non sembra un problema che il “Mac App Store” esisterà indipendentemente dai software già in vendita per Mac. Anche se ancora non ho letto alcuna nota su come Apple abbia intenzione di gestire il suo nuovo negozio, sembra che non si tratterà di una semplice rivisitazione del software Mac per essere venduto attraverso un nuovo punto vendita on line.
Invece, sembra che Apple abbia in programma di inaugurare una nuova serie di apps che saranno un qualcosa di esclusivo come funzionalità grazie al nuovo Mac App Store. Prima di tutto, Apple ha reclamizzato le caratteristiche dell’iOS — inclusi i documenti con salvataggio automatico e le apps con memoria dello stato — come novità sulla piattaforma Mac. Questo richiederà alcuni riadattamenti, perché i titoli del Mac si comportino esattamente come le app per iOS.
Le applicazioni inoltre dovranno essere create in linea con un nuovo set di specifiche che comprende anche il non usare installazioni software addizionali — come Java, Flash o Rosetta.
Apple si sta impegnando duramente nel creare un mercato del software in cui il potere decisionale le appartenga e non dipenda dalle bizzarrie degli sviluppatori. D'altronde questa è la “sua” piattaforma online non degli sviluppatori!
Applicazioni Mac che funzionano solo con App Store?
Questo sembra significare che le applicazioni nel Mac App Store saranno le stesse – certificate, pacchettizzate, semplici da installare ed aggiornare, esclusivamente con API controllate – che Apple vende attraverso iTunes per suoi sistemi iOs.
A differenza della distribuzione esistente su Mac, Apple richiede ora che gli sviluppatori di Mac App Store ottengano un certificato validato dall’azienda per criptare le app in vendita. Questo ovviamente non eviterà che essi vendano anche le loro applicazioni al di fuori dello store, ma è improbabile che abbiano voglia di farlo.
Tanto per cominciare, i sistemi di protezione che Apple attualmente utilizza sui dispositivi iOS per limitare la pirateria occasionale funzionano solo perché l’iPhone e l’iPad hanno un sistema operativo sicuro che richiede che tutte le applicazioni siano registrate. Questo impedisce alle applicazioni di funzionare a meno che non siano state regolarmente scaricate attraverso un account utente — o siano state validate da una società o dallo sviluppatore per mezzo di un certificato di sicurezza che gli permetta di girare su quella specifica macchina — o a meno che l’utente non abbia progettato un modo per eludere il sistema di sicurezza.
Sui Mac attualmente non c’è l’esigenza che la applicazioni siano certificate. Il Mac App Store genererà un ambiente che abilita al funzionamento le applicazioni protette ma dotate di un certificato. Questo però non sarà d’ostacolo alla loro distribuzione anche senza la certificazione se gli sviluppatori lo vorranno. Loro stessi comunque eviteranno che ciò accada, una volta messi di fronte al dramma di una implosione delle vendite causata dalla diffusione di una versione del loro software facile da copiare ed installare.
Gli sviluppatori potrebbero creare un loro ambiente per far girare le app certificate ma indipendenti da Apple, si tratterebbe però da parte loro di un impegno lavorativo eccessivo a fronte di un ritorno economico spesso magro.
Le persone convinte che gli sviluppatori, vendendo direttamente i propri prodotti, saranno entusiasti di poter “risparmiare” quel 30% che Apple trattiene come commisione sullo store, non sono al corrente che i programmatori normalmente perdono tra il 50% e il 90% dei loro introiti a causa della pirateria quando non c’è un DRM a bloccare i furti.
Basta chiedere agli sviluppatori di Android o a quelli di Symbiam. O a quelli per Mac ad oggi.
Gli sviluppatori Mac saranno inoltre in grado di far circolare versioni limitate o di prova delle loro applicazioni al di fuori dello store — non possono però farlo all’interno, in accordo con le disposizione ufficiali.
Ciò gli permetterà di poter promuovere i loro prodotti liberamente e indipendentemente da Apple, beneficiando però al contempo delle vendite sicure all’interno del Mac App Store — cosa che attualmente non è possibile con iOS.
Inoltre, le App Mac rigettate da Apple potranno essere comunque vendute dagli sviluppatori autonomamente — ma senza DRM — un vantaggio notevole a confronto degli sviluppatori iOS più sfortunati nel caso Apple rifiutasse le loro app.
Una nuova tattica per affascinare gli sviluppatori
Ed è così che Apple cerca di assicurarsi che il software per Mac non sia un mercato che ricava valore solo per se stesso, ma che diventi una opportunità per aumentare il valore delle vendite di hardware Mac incoraggiando nel contempo software di alta qualità a prezzi contenuti che aggiunga valore al sistema in modo che i suoi sviluppatori non possano facilmente migrare su altre piattaforme.
Questa iniziativa è così importante per Apple che l’ha inserita di forza all’interno dell’ultima programmazione di eventi del 2010, spostando preziose risorse umane altrimenti impegnate nello sviluppo del prossimo iPad o di Mac OS X Lion.
Apple non è l’unica ad aver capito che gestire il mercato dei software è importante per le piattaforme. Anche Microsoft per un certo periodo ha parlato di un “Windows Store”.
Microsoft tentò infatti di lanciarne uno per Windows Mobile nel 2009. Pur avendo una base d’installato simile all’iPhone — almeno al tempo — e un gran numero di sviluppatori — compresi alcuni in ambienti aziendali e governativi — la compagnia però fallì miseramente abbandonando il progetto per ripartire da zero con il suo nuovo Windows Phone 7.
Tutto questo è già successo prima
Apple senza dubbio non ha inventato il concetto della gestione del mercato dei software. È stata Nintendo a creare quello che forse può definirsi il primo portfolio software certificato per un hardware specifico quando ha lanciato il sistema NES a metà degli anni Ottanta.
Esso integrava un chip di licenza che impediva agli sviluppatori di terze parti di creare software indipendenti dal suo “sigillo d’approvazione”.
Ogni produttore di videogiochi da allora ne ha seguito l’esempio.
Il chip di blocco della Nintendo fu una reazione alla sovrabbondanza di software scadente[1] e senza alcun tipo di restrizione che aveva strangolato Atari un paio di anni prima.
La cosa interessante è che la Nintendo utilizzò il suo chip per mantenere alti i prezzi dei giochi e per estorcere alti ricavi dalle licenze degli sviluppatori, atteggiamento che successivamente Microsoft e Sony hanno emulato, forti del fatto che tutti i produttori di consolle contino sul software per integrare il ristretto margine di guadagno fornito dalla vendita dell’hardware.
Le protezioni dell’App Store di Apple, al contrario, sono intese a mantenere alta la qualità del software e rendere i prezzi di vendita economici ma sostenibili per gli sviluppatori grazie agli alti volumi di vendita.
Apple effettua una trattenuta di commissione molto bassa al solo fine di mantenere lo store e di coprirne le spese. D’altronde ha sempre sostenuto che i suoi “App Store” lavorano solo per raggiungere il “break-event point” e non per fare cassa sulle spalle degli sviluppatori.
Questa situazione assume poi caratteri grotteschi quando i sostenitori di Windows – facendo finta di non conoscere le politiche di licenza che si muovono dietro le loro Xbox[2] – accusano Apple cercando di screditarla per le “presumibilmente” alte trattenute che impone su iTunes.
Interessante è anche il ribaltamento storico delle politiche di vendita tra Atari e Nintendo, stavolta giocata da Google e Apple. Anziché correggere i difetti del suo predecessore come fece Nintendo, Google con Android tende a sfidare il successo — che Apple ha dimostrato di saper raggiungere — pianificando un contro-mercato “Atariano” cioè aperto e “free-for-all” artefice però proprio del collasso di Atari stessa e della famigerata crisi dei videogiochi del 1983. Mercato nel quale abbondavano milioni di giochi invenduti, brutti e di scarso valore.